Il cannocchiale

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Spesso mi domandano di come possegga questo oggetto. La versione breve è : “è stato un dono di un mercante venale”, ma leggo nei tuoi occhi che vorresti sentire la storia completa. E sia, la notte è lunga, la nebbia fitta, ed il fuoco arde. Mi stai simpatico giovane cacciatore, mi ricordi me, dieci inverni fa.
Dunque: accadde poco dopo i fatti di Nenuvaren e la morte del Cavaliere Nero. Tornai nei miei amati boschi di Corvia, dove stetti per qualche tempo. Un mattino giunse nel villaggio un araldo del principe che bandì l’invio di coloni nella nuova terra dell’Oltrespina. Era mio desiderio visitare queste lande, così mi offrii volontario per accompagnarne alcuni, spingendoci verso queste nuove terre selvagge e quasi inesplorate. In pochi giorni raggiunsi insieme ad alcuni pionieri un posto di raccolta a Corvia, e da lì formammo una carovana di dodici carri ed una settantina di persone, composte da intere famiglie o singoli individui. Molti erano coloro che mi domandavano della sconfitta del malvagio Cavaliere Nero, ma spesso mi limitavo a scrollare le spalle dicendo poche parole di circostanza, essendo stato il mio ruolo nell’impresa del tutto marginale. Eppure molti mi vedevano come un eroe, confidando nelle mie capacità qualora avessimo incontrato dei pericoli; altri meno illusi, Brumiani temprati dalle nebbie, non insistevano con domande, confidando sul fatto che una spada ed un arco in più avrebbero fatto comunque comodo.
Costeggiammo la costa, fino a che, dopo undici giorni, vedemmo alla nostra sinistra le alte montagne della Spina, e dinanzi a noi la folta foresta, fitta e minacciosa, cupa ed oscura. Da quel momento mi staccai dal grosso del gruppo, procedendo con gli altri cacciatori da esploratori nella nuova terra, aprendo la strada ai coloni con i loro carri carichi di vettovaglie e speranze. Scorgemmo una vallata con un fiume, circoscritta a nord dalle colline che anticipavano le cime della Spina, che si scorgevano maestose all’orizzonte, velate di nebbia. Venne deciso di fare un campo in quel luogo, così mi riposai per qualche giorno, cacciando ed esplorando i dintorni.

L’Oltrespina è una terra selvaggia e le sue foreste non hanno mai visto l’ascia del boscaiolo. Sono poche le piste che si spingono fra gli alberi, e ci sono molte tracce di animali. Poche sono le pianure e gli spazi che costeggiano i fiumi, che formano le piste sulle quali l’uomo si sposta.
I pochi spazi sono circondati da umide ed ombrose foreste, mentre sono presenti numerosi massi posti in verticale, forse spostati e collocati sul suolo dai giganti e dai titani dei tempi antichi.
Spesso, nelle esplorazioni, i rumori della natura cessavano, lasciando posto ad un irreale silenzio, più minaccioso del suono prodotto da una spada che scivola fuori dal fodero. Cautamente mi fermavo, cercando di appiattirmi fra qualche roccia o dietro ad un albero, attento alla direzione del vento, ascoltando con attenzione e annusando anche l’aria, ma mai nulla mi si è palesato alla vista. Poi la foresta riprendeva vita, e rilassavo i muscoli, che senza accorgermene, avevo contratto. Credo che ci siano molte creature pericolose che abitano ancora queste antiche lande, forse i coloni faranno bene a non spingersi troppo in profondità in queste ombrose selve, tanto fitte che il suo sottobosco non conosce la luce del giorno.

Dopo cinque giorni lasciai l’accampamento in compagnia di altri tre cacciatori, Alimaro di Montecastello, un bruto con una cicatrice sulla guancia, possente guerriero e buona spada, Brunvino, un mio compatriota di Corvia, giovane spaccone ma con buona mira, e Arlano, un gaglioffo umano che afferma di venire dalla capitale. In tale compagnia partimmo, dirigendoci verso le montagne; la nostra intenzione era di cacciare, fare una prima esplorazione del territorio sul nostro cammino, per poi valicare a Valleterna, e riprendere la Strada del Re per far ritorno nella nostra patria.

Impiegammo sette giorni di cammino. Spesso ci fermavamo a scuoiare gli animali cacciati, così da avere delle pelli pronte da vendere e meno carico da trasportare. Per tutto il viaggio dovemmo sopportare il continuo favellare di Arlano, che si vantava delle sue imprese passate, sebbene ritengo che tutto ciò di cui fosse capace era di rubare nelle sacche altrui. Notai che spesso controllava la chiusura di una scarsella che portava alla cintura; forse qualche colono, nell’Oltrespina, stava chiedendosi che fine avessero fatto i suoi risparmi. Viaggiavamo a coppie, il giovane Brunvino ed io in retroguardia, in quanto la mia debole vista da lontano mi avrebbe penalizzato nella ricognizione.
Il viaggio fu tranquillo, a parte una notte in cui subimmo l’attacco di sei uomini bestia, forse attirati dall’odore di carni sul fuoco, sebbene avessimo scelto un posto riparato sottovento. Ero di guardia sopra una roccia, quando il vento provvidenzialmente cambiò e portò alle mie narici l’odore acre e selvaggio delle creature. Estrassi dalla tasca il mio fischietto, ed imitai il verso della civetta per tre volte, segnale concordato di pericolo, poi mi sollevai lentamente incoccando una freccia e tenendone un’altra pronta nella mano con cui impugnavo l’arco. L’assenza di movimento mi aveva portato un poco di intorpidimento nelle membra, ma feci piccoli movimenti così come mi aveva insegnato mio padre molti anni fa. Il lungo turno di guardia aveva permesso ai miei occhi di abituarmi alla tenebra, così li fissai in un punto indefinito, così come mi era stato mostrato, attento ai segnali di un qualche movimento. In breve scorsi alcune sagome che si stavano avvicinando al campo, producendo solo fruscii di fronde. Attesi quando furono a circa una quindicina di passi, ne puntai una e rilasciai. La bestia colpita emise un urlo, e senza attendere, incoccai l’altra freccia verso le bestie che avevano cessato ogni cautela, e ne colpii un'altra, che accusò il colpo accasciandosi per un momento, per poi rialzarsi e continuare nella carica. Sotto di me Alimaro combatteva con foga con la sua spada dopo averne uccisa una con un preciso tiro d’arco, fianco a fianco a Brunvino che menava gran colpi con la sua ascia. Il “prode” Arlano invece si era messo alle spalle dei due, non aiutandoli a combattere contro gli altri quattro uomini bestia. Uno in particolare, alto almeno sei piedi, che maneggiava un grosso spadone arrugginito saccheggiato in qualche tomba, aveva ferito Alimaro alla spalla, e con Brunvino stavano arretrando verso la parete di roccia sui cui stavo, mentre Arlano si teneva sempre dietro di loro. Incoccai una freccia e rilasciai, ma, nella fretta mancai il gigante. Ne incoccai un'altra e questa volta lo colpii in pieno petto. La creatura lanciò un grido di rabbia, poi sfoderai le mie spade, e con un urlo mi lanciai di sotto, atterrando sopra due uomini bestia. Prima che si riebbero aprii la testa ad uno con un fendente, mentre uccisi l’altra con un preciso affondo alla gola. La creatura ferita dalla freccia ne approfittò per colpirmi con un bastone appuntito, che mi ferì qui all’interno del bicipite.
Intanto Alimaro aveva bloccato un colpo il più grande degli uomini bestia, e nello stesso momento Brunvino ne aveva approfittato per rifilargli un rapido diritto e rovescio, aprendogli le budella. Arlano intanto era sgusciato alle spalle del superstite che era concentrato su di me, ed gli aveva affondato il pugnale nella schiena.
Il combattimento era finito. Perlustrammo i dintorni, e constatammo la morte del primo uomo bestia che avevo colpito con una freccia.
Alimaro mi permise di prendere le zanne del gigante, queste che porto al collo. Sai, giovane uomo, noi bruti amiamo prendere i trofei da ciò che uccidiamo. Le antiche tradizioni dicono che così assimiliamo la forza dei nemici e la facciamo nostra, e ricordiamo ciò che è caduto sotto i nostri colpi, onorandolo; è sempre bene ricordare le antiche tradizioni.
Brunvino si prestò con le sue abilità di cerusico fasciando le nostre ferite. Intanto Arlano stava frugando i morti, mentre Alimaro stava cavando gli ingredienti che servono ai maghi ed agli alchimisti, che ci avrebbero fruttato qualche soldo. Appena fummo pronti ci allontanammo dal luogo, temendo che l’odore del sangue avrebbe potuto attirare altre creature pericolose.

Passammo un valico ancora praticabile, sebbene il freddo fosse già pungente e la prima neve non era ancora caduta. Seguimmo una pista che affiancava il corso di un fiume ed arrivammo nei pressi di Vesta e di Monfiore. Dopo due giorni raggiungemmo la Strada del Re. I miei compagni decisero di dirigersi verso Vesta, mentre io, non gradendo le grandi città e la confusione, preferii dirigermi verso Porta Scirocco, confidando sul mercato che sapevo di trovarvi, speranzoso di spuntare un buon prezzo sulle mie pelli, e nei reagenti che avevamo spartito.
Entrai in città nel pomeriggio senza difficoltà, le guardie probabilmente erano abituate alle facce straniere dei commercianti e alle loro guardie, così che non fecero opposizione per le armi. Mano sulla scarsella e sull’elsa del coltello, mi inoltrai fra le bancarelle e le botteghe del mercato, osservando con curiosità le diverse etnie che potevo vedere riflesse nei volti, eredi, niviani, Venali e Meridi, ma anche genti che provenivano dalla vicina Corona o dal nord, come me. Riuscii a spuntare un buon prezzo sulle pelli e sui due reagenti, così mi recai in una locanda. Avevo chiesto informazioni ad uno dei miei acquirenti che mi consigliò “Al caldo focolare”, una taverna che offriva buoni pasti e letti economici, sita nella zona nella quale risiedevano molti Venali. Mangiai da solo, ascoltando con noncuranza i discorsi degli avventori, poi andai nella mia camera. Pagai in anticipo la piccola stanza, perché il giorno innanzi volevo partire prima dell’alba e sfruttare tutta la giornata di cammino. Mi chiusi all’interno, controllai la robustezza della piccola finestra e poi incastrai l’unica sedia sotto il chiavistello.
La notte passò tranquilla, e, risvegliatomi, partii che era ancora buio, percorrendo le strade deserte, l’aria frizzante che respiravo mi fece presto passare il sonno. Camminai lungo la strada, poi davanti a me vidi un gruppo di gente in agitazione; fuori da una taverna era scoppiata una rissa fra sei o sette persone, e non volendo immischiarmi deviai per una via laterale, mentre già sentivo i richiami della ronda in lontananza.

Costeggiai un muro di cinta, dietro cui notai una torre che probabilmente fungeva da abitazione. Ne stavo seguendo il muro convinto che mi avrebbe condotto ad una via, quando sentii un richiamo sopra di me. Ad una delle finestre scorsi un viso pallido di un inviano che urlava al mio indirizzo < Straniero, aiutami, i ladri! Ti ricompenserò! Aiuto!> In pochi attimi decisi di immischiarmi nella faccenda.
Rapidamente seguii il muro fino ad un angolo, oltre il quale mi affacciai con cautela. Alla porta della magione, aperta, un losco figuro con il volto celato da una sciarpa e da un cappuccio, stava facendo la guardia armato di balestra. Allertato dalle grida del inviano si stava osservando attorno, così mi scansai indietro appena in tempo prima che si voltasse verso la mia direzione. Tornai poco indietro, accostai un carro che trovai sotto una tettoia al muro, ci salii sopra e lo usai come scala improvvisata per scavalcare. Mi lasciai cadere all’interno con attenzione, appiattendomi al suolo, attento ai rumori. Mi trovavo in un giardino, davanti a me la torre e sulla mia sinistra, più avanti, l’entrata sulla strada. Non avevo sentito abbaiare, quindi non c’erano cani o erano stati uccisi. Il niviano non si sentiva più, forse si era barricato da qualche parte o i ladri l’avevano preso, sebbene dall’interno della casa si percepissero rumori di lotta. Mi riparai dietro un alberello, e mi diressi verso l’entrata, sfruttando la zona d’ombra del muro. Notai che la porta della torre era aperta, e si vedevano due uomini sdraiati a terra, probabilmente si trattava delle guardie del inviano, che non sembravano affatto in buona salute, con tutto quel sangue che imbrattava il pavimento.
Cercando di fare meno rumore possibile mi avvicinai all’uomo di guardia, che si era tirato dentro ed osservava la strada. Sfoderai la mia spada corta; l’uomo, allertato dal rumore si voltò, ma gli calai il pomo sulla nuca, con forza. Andò giù come un sacco vuoto, e per sicurezza, gli rifilai altri due colpi..poi un terzo..in certe occasioni è bene non lesinare, soprattutto nella lotta.
Mi impossessai della balestra, e mi diressi verso la porta della magione. Nessuno era in vista, mi affacciai rapido oltre lo stipite, ma non c’era nessuno, solo le due guardie passate a miglior vita. Sentivo rumori di lotta da sopra, così imboccai le scale tenendomi a ridosso del muro, con la balestra pronta. Arrivai al primo piano, dove avevo visto il niviano, e su un ballatoio che si affacciava su un corridoio con tre porte di legno, di cui una aperta. Vidi un uomo che mi dava le spalle armato di balestra, appena al termine delle scale. Teneva la sua arma puntata verso una guardia che stava combattendo contro due ladri, uno piccolo e tozzo con un elmo di cuoio ed uno robusto con un’ascia.. Probabilmente la guardia, spalle ad una porta, stava difendendo il niviano dentro la stanza, ed il bandito esitava a tirare per non colpire i suoi compari. I ladri erano tutti mascherati con sciarpe sulla bocca, ma quello con l’elmo era sicuramente un niviano, per via della carnagione pallida che si scorgeva nelle parti esposte. Stavo per tirare all’uomo con la balestra, quando dalla porta aperta uscì un altro gaglioffo mascherato, con un sacco a tracolla. Mi scorse e lanciò un urlo di avvertimento. L’uomo con la balestra tentò di voltarsi, ma gli piantai la quadrella in mezzo alla schiena. Senza perdere tempo mi lanciai nel corridoio, gettando la balestra scarica addosso a quello con il sacco, che ruzzolò a terra. Raccolsi la balestra del morto, il cui meccanismo fortunatamente non era scattato, e mi gettai nella stanza aperta in cerca di riparo. Intanto i due briganti avevano avuto ragione della guardia, trafiggendola a morte.
Mi affacciai allo stipite, ma mi tirai subito indietro vedendo fare al inviano uno scatto con il braccio destro. Con un tonfo un coltello si era piantato nel legno della porta, mi riparai velocemente senza riuscire a chiuderla. Arretrai guardandomi attorno. Era uno studio con molti oggetti strani, vetri, fornelli ed attrezzi vari su banchi di legno o marmo. Una parete era occupata da scaffali di libri, e una finestra era aperta all’esterno. Dalla posizione nella torre doveva essere quella da cui il niviano mi aveva visto.
Il posto sembrava la bottega di un artigiano che si dilettava nell’alchimia e nello studio di antichi tomi, ma la mia impellenza era quella di trovare un riparo, così mi osservai attorno alla ricerca di qualcosa di utile. Rovesciai una scrivania facendo cadere tutto ciò che c’era sopra, e poi riparai dietro, attendendo le mosse dei banditi, confidando nell’unico quadrello della balestra. Quello con l’elmo e quello con l’ascia dovevano passare davanti alla porta per scappare, mentre quello con il sacco era fuori dalla mia portata. Vidi ad altezza pavimento la testa del bandito che fece rapidamente capolino per poi tirarsi indietro. Sentii che confabulavano fra di loro mentre attendevo pensando a quale brutto tiro mi avrebbero tirato i tre gaglioffi. All’improvviso uno dei banditi attraversò l’area davanti alla porta. Imprecai, attendendo che il secondo uomo passasse. Ci fu un movimento a sinistra che mi distrasse, ma da destra si affacciò quello con l’elmo che lanciò un coltello. Mi riparai contro il tavolo, poi mi rialzai con l’arma puntata. Sentivo passi veloci sulle scale, così mi sporsi fuori velocemente. I tre si stavano già attraversando la porta d’ingresso, calpestando le guardie morte. Tirai, ma il quadrello si piantò nel muro. Sentii i richiami della ronda all’esterno, forse qualcuno le aveva allertate.
Nel corridoio rimanevano il bandito morto e la guardia. La porta che stava difendendo si aprì, ed il niviano che aveva chiesto il mio aiuto si affacciò con circospezione. Aveva la corporatura minuta, corti capelli castani ed una veste nera spiegazzata ma lussuosa. Fissò i morti a terra poi mi sorrise con nervosismo. <grazie, straniero, ti ricompenserò a dovere per il tuo aiuto>.
Intanto in basso alcune figure con il sarcotto rosso dei soldati erano entrate nell’androne. Il inviano le vide, e scorsi nei suoi occhi un lampo fugace. Mi scavalcò rapido e si affacciò alla balaustra urlando: < guardie, guardie, aiuto! Qui sopra, uno è qui!>
Imprecai sonoramente contro il niviano, mentre le guardie stavano già salendo le scale. Lo presi di peso per la veste e lo spinsi giù dalle scale addosso alla guardie, poi mi tirai indietro cercando rifugio nello studio. Chiusi la porta dietro di me e gli appoggiai contro la scrivania che avevo rovesciato ed un altro banco con il piano di marmo; per un po’ avrebbe rallentato le guardie, ma non per molto. Furioso per essere stato beffato, bestemmiai contro la tetrade, i suoi emissari, il mercante venale, la sua madre poco di buono e i suoi molti padri, mentre mi aggiravo per la stanza in cerca di una via di fuga.
Un particolare attrasse la mia attenzione: vidi che una delle librerie era spostata su un’asse. Dietro essa si trovava uno stipo incassato nel muro, la cui porta era aperta. Mi avvicinai senza troppe cautele, tanto i ladri avevano sicuramente neutralizzato qualunque trappola fosse stata presente. L’armadietto era vuoto a parte un contenitore per pergamene decorato. Lo presi e me lo misi nello zaino, più che altro per vendetta nei confronti del traditore, visto che non so leggere, e spesso penso che sia un’attività molto utile.
Intanto i soldati stavano picchiando con un qualche oggetto la porta, pochi granelli rimanevano nella clessidra del tempo concessomi; dovevo assolutamente uscire.
Aprii contenitori, casse e armadi, in cerca di qualcosa di utile, fino a che in un baule trovai una robusta corda; ne legai un’estremità alla gamba di una libreria, poi mi affacciai da un angolo della finestra con cautela. Come sospettavo era la finestra dalla quale il mercante dai tanti padri mi aveva visto e chiamato. Le guardie erano dall’altra parte all’entrata,e la via da quel lato era sgombra. Prima di scendere, incautamente e maldestramente urtai una lampada, che appiccò fuoco, in maniera ovviamente del tutto casuale ,ai tendaggi della finestra. Mi lasciai quindi scivolare giù, e rapidamente corsi al muro, arrampicandomi fuori e lasciandomi cadere sul carretto. Scappai veloce nella direzione da cui ero arrivato, passando davanti alla taverna della rissa. Stava albeggiando, e la città si stava lentamente risvegliando. Arrivai alla porta verso Vesta proprio mentre la stavano aprendo, e con passo normale uscii fuori. Appena fui fuori di vista corsi via lungo la strada.
Dopo un po’ mi sedetti su una pietra miliare per riposarmi un po’ e bere un po’ d’acqua dalla borraccia. Improvvisamente mi ricordai del porta pergamene, e spinto da curiosità più che da reale interessamento, la aprii dal tappo, mettendo un dito dentro per estrarre il foglio. Fu con sorpresa che le mie dita percepirono una superficie dura. Guardai dentro, e vidi che all’interno, poco oltre l’apertura, era incastonato un vetro. Mi chiesi a cosa potesse servire… voltai l’oggetto e vidi che all’altra estremità era presente un tappo simile, che aprii. C’era incastonato un altro vetro, sebbene più grande. Perplesso guardai dentro, ma era troppo scuro. Alzai l’oggetto e notai che dentro era vuoto, si scorgeva il blu del cielo. Mi chiesi cosa potesse essere… mi voltai, e vidi una nube di polvere alzarsi dalla direzione di Porta Scirocco, di cui si distinguevano le mura. Più per istinto che per ragionamento, accostai l’occhio vicino al tubo grosso, ma vidi colori e sagome indistinte… lo voltai e davanti a me vidi cinque o sei guardie a cavallo che cavalcavano verso di me. Quasi caddi dal miliare nella fretta di allontanarmi. Guardai gli inseguitori, stupendomi di come fossero arrivati vicini senza che me ne accorgessi. I cavalieri però erano lontani, a fatica si distingueva la livrea rossa. Accostai di nuovo il tubo all’occhio, e li vidi vicini, quasi riuscivo a distinguerne visi, mentre dietro di loro vedevo la sagoma ad arco della porta. Fischiai fra i denti stupito, osservando con e senza il tubo, poi mi decisi ad allontanarmi nel bosco alle mie spalle. Riposi il tubo da vista nello zaino con un sorriso sulle labbra. Alla fine il mercante mi aveva ricompensato, suo malgrado. Costeggiando la Strada del Re, mi incamminai verso la mia patria e tornai qui a Castelbruma.
Questo è tutto. Dormi ora giovane cacciatore, abbiamo bisogno di riposo;il primo turno di guardia lo farò io; se nella notte senti tre fischi della civetta è meglio se ti svegli rapido…

Autore
Branto da Corvia